Alzheimer: gli inizi. Il primo webinar di Fermata Alzheimer
L’Alzheimer è una malattia degenerativa che colpisce oltre 1 milione di persone solamente in Italia. Il numero è in continua crescita: nel mondo ogni 3 secondi una persona sviluppa una forma di demenza.
Questo tipo di patologia non coinvolge solo la persona malata, ma l’intera famiglia: solo nel nostro Paese quasi 3,5 milioni di caregiver sono impegnati nell’assistenza dei propri cari.
Il webinar di Korian a tema Alzheimer
Proprio per questo, in occasione della giornata mondiale dell’Alzheimer tenutasi il 21 settembre, noi del Gruppo Korian, Leader europeo nei servizi di assistenza e cura, abbiamo pensato di creare un percorso di webinar, incontri ed interviste.
Dopo il tour itinerante in 18 città d’Italia, Korian Fermata Alzheimer fa tappa online con il web-tour che spezza l’indifferenza: 6 appuntamenti in diretta streaming per parlare a 360° della malattia invisibile grazie al supporto di professionisti e specialisti Korian.
L’obiettivo di questo format è condividere informazioni utili e risolvere dubbi a chi deve prendersi cura di un paziente affetto da questa malattia.
Con questo primo appuntamento, Alzheimer: gli inizi, abbiamo parlato insieme al Dottor Francesco Badagliacca, Geriatra e Coordinatore Sanitario presso l’RSA Villa Marica di Korian, per capire come riconoscere le prime avvisaglie dell’Alzheimer, quali esami svolgere e a chi rivolgersi nella fase iniziale della malattia.
Alzheimer: gli inizi è il primo di sei webinar gratuiti, previa registrazione al portale di SpazioSalute e fruibili sia in diretta streaming che on demand.
Alzheimer e demenza senile: quali sono le differenze?
La malattia d’Alzheimer, in termini puramente pratici, non si differenzia dalla demenza senile. L’Alzheimer è stato identificato agli inizi del Novecento su una paziente di 50 anni che presentava alterazioni encefaliche che oggi riscontriamo in pazienti in età senile. Di fatto, tra malattia d’Alzheimer e demenza senile non ci sono differenze se non da un punto di vista anagrafico: l’Alzheimer è riconoscibile in età presenile, dai 40-50 anni in avanti. Negli anziani, la malattia di Alzheimer presenta le stesse caratteristiche della demenza ma sul piano anatomo-patologico e clinico alcuni fattori si aggravano più degli altri, e nella terapia le differenze tra cura dell’Alzheimer e della demenza senile sono minime. Anzi, i percorsi diagnostici e terapeutici si fondano sui medesimi approcci e sull’attuazione degli stessi comportamenti.
Quanto dura l’Alzheimer?
La malattia d’Alzheimer ha un andamento progressivo e cronico, che si sviluppa in un lungo periodo di tempo. La fase pre clinica può durare due anni e l’Alzheimer può evolvere fino a 12 anni dalla prima diagnosi: il deterioramento della mente e del corpo dei pazienti è graduale e comporta la progressiva perdita delle capacità quotidiane che si svolgono in autonomia. Queste, chiamate ADL, che sono azioni semplici come l’andare in bagno o attendere all’igiene personale, per i malati di Alzheimer diventano sempre più difficili da compiere, fino alla perdita totale della propria autonomia.
C’è da sottolineare, aggiunge il dottor Badagliacca, che alcune forme di Alzheimer sembrano progredire più rapidamente, e che per quelle senili abbiamo un decorso minore in termini temporali ma ad oggi non ci sono evidenze scientifiche che confermano questo dato.
Alzheimer: quali controlli fare e quando?
Spesso i primi sintomi dell’Alzheimer si confondono con quelli di una vita stressante in cui lapsus e defaillance sporadici sono normali e non è necessario approfondire. Generalmente, il paziente che inizia a soffrire di Alzheimer non ha coscienza dei propri deficit, ma sono i suoi familiari che riferiscono al medico di episodi ripetuti nel tempo che fanno sospettare la comparsa della malattia.
In questi casi, la procedura clinica è la seguente: si inizia con una raccolta anamnestica degli episodi avvenuti e poi si procede con test psicometrici sul soggetto per approfondire la sua capacità mnemonica, di calcolo, spazio-temporale. Se i risultati non danno esiti positivi c’è la possibilità di identificare un primo stadio della malattia d’Alzheimer. Di conseguenza gli psicologi effettueranno una serie di altri test per sondare i territori, ad esempio, della semantica, e tutti gli altri che vengono colpiti dall’Alzheimer. Si fanno poi ulteriori indagini con strumenti come la neuro imaging (RMN e PET) per identificare le aree del cervello attive, le quali giustificano i deficit nel quotidiano dei malati di Alzheimer.
Una volta compiuti gli accertamenti, i medici definiscono il percorso terapeutico. In base allo stadio dell’Alzheimer, ad esempio se precoce, si interviene con la terapia farmacologica che stimola le zone attive del cervello a cui si affianca l’importantissima riabilitazione cognitiva; infatti, stimolare l’encefalo è fondamentale per sviluppare nuove connessioni sinaptiche.
Come gestire i comportamenti dei malati di Alzheimer?
Nell’ambiente domestico è difficile affrontare questa difficile condizione. Se i caregiver non hanno indicazioni sugli strumenti da usare e come approcciarsi alla malattia d’Alzheimer, sarà necessario fare formazione.
Se un malato compie un’azione scorretta, non ha senso intervenire contro di lui o lei in maniera brusca, anzi, quasi sempre si ottengono effetti deleteri; essere drastici con un malato di Alzheimer altera il suo stato d’animo rendendolo più aggressivo ed oppositivo. Il paziente, infatti, va assecondato e ascoltato, perché i malati di Alzheimer incontrano difficoltà nel verbalizzare le proprie necessità, i bisogni e i disagi. Infatti, quando cercano di comunicare all’esterno le proprie sensazioni utilizzano formule che noi, soggetti sani, interpretiamo come inopportune e senza logica, e per questo, sbagliamo nel tentativo di correggerle. Per fare un esempio, alcuni soggetti con agitazioni notturne sono stati calmati con la somministrazione di cibo, in questo caso il loro bisogno non era stato comunicato con modalità usuali per noi.
Per di più, esistono studi che dimostrano che il paziente con demenza senile non è completamente scollegato dal mondo esterno, gli stimoli giungono ugualmente al cervello, ma le informazioni non vengono elaborate correttamente. Quindi, per gestire i malati di Alzheimer, è importante assecondare e tradurre i loro comportamenti, anche se è difficile interpretare le loro esigenze.
Aiuti istituzionali per i malati e le loro famiglie
Prendersi cura di un malato con demenza non è semplice, e spesso i caregiver sono gli stessi familiari del malato, che lavorano e devono provvedere economicamente alle cure contro l’Alzheimer. Se la malattia ha una durata media di 10 anni, il caregiver dovrà organizzarsi al meglio in termini sia economici che temporali. Purtroppo, aiuti istituzionali immediati e ottenibili nel breve termini non esistono, ma è in programma l’estensione della legge finanziaria che darà la possibilità alle regioni di accedere a un fondo per percorsi assistenziali contro l’Alzheimer. Per ora, è possibile procedere con la richiesta all’INPS per il riconoscimento dell’invalidità civile con accompagnamento o la Legge 104; in questo caso viene erogata una pensione mensile e il caregiver ha diritto a qualche giornata di assenza dal lavoro; certamente è una concessione che viene incontro in minima parte alle necessità del caregiver del malato di Alzheimer.
Alzheimer: a che medici rivolgersi?
Se si sospetta di soffrire della malattia d’Alzheimer, il primo step è rivolgersi al medico di famiglia, che conosce la storia clinica del paziente. Seguono poi visite specialistiche dal neurologo e geriatria, come anche da psicologi e terapeuti. Va precisato, aggiunge il dottor Badagliacca, che il campanello d’allarme suona se in famiglia ci sono stati 2 o più casi in età pre senile di Alzheimer. In questo caso, sarà da approfondire la condizione clinica del soggetto. Tuttavia, la familiarità della trasmissione della malattia d’Alzheimer coinvolge il 60% dei pazienti: non è quindi un dato scientifico puntuale valido nella letteratura medica.
Esiste un farmaco un vaccino contro l’Alzheimer?
La ricerca sta facendo molti passi in avanti: è recente la notizia dell’approvazione in America da parte della FDA di un anticorpo monoclonale, che dovrebbe distruggere l’accumulo della beta-amiloide nel cervello del malato, ma sono stati segnalati in fase di sperimentazione alcuni effetti collaterali che hanno messo in discussione la sua efficacia. La distruzione di questa sostanza, inoltre, sembrerebbe non permettere completamente il recupero delle zone malate del cervello. L’altra notizia incoraggiante è quella di un vaccino contro l’Alzheimer, che stimolerebbe la produzione di anticorpi contro la proteina tau che distrugge i neuroni; la sperimentazione già avviata è nelle fasi iniziali dell’Alzheimer e sta proseguendo in quelle più avanzate.
Si può prevenire l’Alzheimer?
Uno studio svedese ha evidenziato che la qualità della vita influisce sulla comparsa della malattia d’Alzheimer: abitudini come il fumo, il consumo di alcol, una dieta non equilibrata e altri fattori come ipertensione, diabete e patologie vascolari aumentano la possibilità di comparsa dell’Alzheimer. Ma c’è un altro comportamento che si può mettere in pratica per la prevenzione: stimolare il cervello in continuazione. I neuroni se stimolati correttamente non si esauriscono e, anzi, è stato dimostrato che stimolare alcune aree del cervello, soprattutto in anziani dopo l’età del lavoro, ovvero durante la pensione, porta effetti benefici. Il cervello durante l’età lavorativa è sempre sottoposto a stimoli, e in mancanza di essi si deteriora più velocemente.
Con questa intervista al dottor Francesco Badagliacca abbiamo risposto a curiosità e approfondimenti sui primi segnali dell’Alzheimer, vi aspettiamo al prossimo webinar sui “Caregiver: Aiutiamoli ad aiutare”: l’emergenza sanitaria dovuta al COVID-19 ha spesso isolato i caregiver, che si sono trovati senza la dovuta assistenza. È importante stare bene per far stare bene. Un incontro per parlare di emozioni, paure e sentimenti.